E’ l’ultimo dei tre scrittori che vi voglio presentare in questo compleblog. Dei tre è forse quello meno visibile per il suo stile silenzioso e per la sua non continua presenza sul blog. Anch’egli però ha vissuto l’esperienza della stampa, in particolare della coraggiosa stampa di poesie. Un romanzo, un racconto è per sua natura più appetibile al pubblico. La poesia invece è qualcosa di ostico, quasi un “ozio”. Marco ha provato a scrivere poesia, ha provato a stampare (per inciso la copertina del libro è stata scelta tra le fotografie di Kalosf) ed il suo libro, del quale parleremo più sotto, è oggi una realtà.
L’intervista che vi propongo è come le altre molto personale. Più che il libro io resto interessato al personaggio, alla persona, che vive nel libro. Ed è questo Marco che desidero presentarvi.
Grazie Marco per esserci stato anche in questo compleblog (lo aveva fatto anche l’anno scorso) e grazie per le tue risposte così vere e così cariche della tua umanità.
Poesia e vita: quale relazione?
Direi che rispetto al passato è cambiato il rapporto con me stesso, perché giorno dopo giorno sto prendendo sempre più coscienza delle mie potenzialità, ed è un bel scoprire. Ora che dedico molto tempo a quest’attività letteraria, perché il mondo del lavoro cui appartenevo mi ha isolato e scacciato, la crescita è molto più veloce che in passato, tanto che rileggendo le mie prime poesie (che appartengono comunque ad un’età matura) non mi ci ritrovo, mi sembra quasi di essere un’altra persona, e da un certo punto di vista lo sono sicuramente.
C’è una relazione tra il mondo immaginario della poesia e il mondo reale a cui la mia vita adesso è ancorata in modo differente? Devo dire che sto cercando di capirlo, al momento direi che è ancora labile, flebile, vecchio e nuovo si relazionano poco, anche se quest’ultimo ha un atteggiamento più pacato rispetto alle sollecitazioni che gli arrivano dal mondo reale.
Il poeta cerca di subentrare nella vita di tutti i giorni cercando di cambiare gli aspetti soliti, consolidati da sessantanni di vita, cerca di prendere ciò che gli accade con tutta la filosofia possibile. Al momento sono due figure che non vivono in simbiosi, perché non essendo un artista affermato mi sento più come un disoccupato in cerca di lavoro. La vita è molto più soddisfacente nei momenti di isolamento dedicati all’ispirazione e alla scrittura, c’è uno stacco notevole: quando scrivo mi dimentico chi sono e ancora mi stupisco dei versi che riesco ad esprimere.
Quindi in conclusione posso dire che poesia e vita poco si relazionano, al momento, ma la domanda era davvero impegnativa e io spero di essere stato esaustivo.
Chi è l’uomo Marco Fantuzzi? Quale esperienza lo ha portato a scrivere?
Come tutti gli inizi, l’avvio è stato lento, anche se abbastanza improvviso, infatti, finché lavoravo, non mi soffermavo a fondo su come esprimermi, ma forse me ne mancava il tempo. Poi nel 2008 il mondo del lavoro mi ha trasformato in un precario, ed ero già oltre i cinquant’anni; è stato un brutto periodo, altalenante, pieno di pessimismo, con il lavoro che andava e veniva, non vedevo più il mio futuro, anzi si era spalancato un baratro che cercava di inghiottirmi. È stato qui che ho cercato solo la mia interiorità, ho alzato muri quasi invalicabili, soprattutto nei momenti, molto lunghi, di disoccupazione a tempo pieno. E ho trovato sfogo nelle parole che raccontavano il mio malessere: piccole poesie, brevi racconti, qualche abbozzo di romanzo, note critiche. E da lì, lentamente sono rinato! Ma dire chi è l’uomo, difficile risposta, forse siete in grado di dirlo voi leggendo i miei scritti, io sono sempre stato troppo critico nei confronti di me stesso, anche l’artista risente di questo lato del mio carattere, molto introverso. Voi che non conoscete a fondo la mia storia, potete essere in grado di capirlo meglio di me.
Hai pubblicato un libro di composizione poetiche: cosa significa per te?
È sinceramente una domanda che non mi sono posto spesso, perché con la poesia ho voluto semplicemente raccontare me stesso, la mia vita, il mio atteggiamento nei confronti della vita, le mie emozioni, il mio stare in mezzo agli altri (a dire la verità sempre troppo poco). Ho voluto comunicare la mia originalità di essere umano, questo è un concetto cui tengo molto, vedo troppa banalità e omologazione in giro, e questo non è un bene per nessuno, forse fa bene alle tasche di qualcuno, ma di sicuro non permette quella crescita culturale, e non solo, che dovrebbe pervadere la nostra civiltà.
Comunque il libro non è un punto d’arrivo, come erroneamente credevo quando mi sono deciso a prepararlo, ma solo un punto di partenza verso altri lidi, spero ancora più luminosi. D’altra parte nella vita l’unico punto d’arrivo è quello che pone fine al gioco, e spero che sia ancora lontano.
Ha significato molto per me il lavoro di costruzione, della scelta tra centinaia di scritti, delle innumerevoli indecisioni, delle riletture, delle riscritture. La gioia di poter sfogliare qualcosa di solamente tuo solo un bambino lo può capire, perché la gioia era quella, un nuovo giocattolo, con cui giocare insieme agli altri.
Se potessi fotografare una foto (o qualcuno lo facesse per te), che foto vorresti vedere?
Io sono sempre stato innamorato dei tramonti, li ho fotografati in vari luoghi, in vari momenti dell’anno, ho scritto sui tramonti cose che mi sono piaciute, è il momento della giornata che amo di più.
L’alba, invece, è sempre stata vissuta poco dal mio spirito, perché era il momento che mi faceva uscire di casa per immergermi nel flusso della vita. Ma c’è un’alba che vorrei fotografare ed immortalare in versi: quella che si può vedere da un rifugio di alta montagna, quando il sole sorge da un mare di nuvole su cui svettano le cime rocciose più alte. Questo mare che sembra così consistente che vorresti camminarci sopra e andare da una cima all’altra senza saper volare come un’aquila oppure tuffarsi in quella schiuma che cambia colore ogni momento finché il sole non l’accarezzerà dall’alto.
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