Le ultime fioriture

Con questo post concludo il discorso sulla carne, perchè entriamo nel vivo della festa cristiana nella quale la Corporeità diviene centrale, ossia il Natale. Voglio farlo con questo post, che mi ricorda la bellezza da un lato, ma anche la precarietà di ciò che sono. E l’immensa dignità della quale sono stato dotato (non rivestito, che riguarda l’esterno di me, ma dotato, dall’interno, come ciascuno). La bellezza è sempre, anche, fragilità. La bellezza è sempre anche spreco. Ma per questo essa è ancor più preziosa. La logica della carne è quello dello spreco. Perchè solo lo “spreco” può contemplare l’amore. Perchè solo l’amore può essere “senza misura”.

Un abbraccio a tutti voi e grazie, grazie per la pazienza con la quale avete seguito questo intenso discorso sulla carne e sulle sue implicazioni…e adesso prepariamoci ad entrare nel Natale…

…e poi il calore del colore…

E per ultimo la corporeità, la carnalità è anche colore, emozione, comunicazione. Il corpo parla, si rende presente, si manifesta in azioni, odori, umori… la corporeità, la carnalità è in fondo la contraddizione cristiana, il non senso, l’assoluta distruzione di qualsiasi metafisica dualistica. Solo un’interpretazione platonica o gnostica può distinguere in modo geometrico tra il corpo e l’anima, perchè l’uno non esiste senza l’altra. E c’è un paradosso nel cristianesimo. Dio, se c’è, ha un corpo. Non perchè l’abbia avuto da sempre. Ma perchè ad un certo momento l’attrazione dell’amore per la sua creazione, lo ha attirato in esso. Ed allora Dio ha avuto lacrime. Dio ha avuto un odore. E la carne è diventata Salvezza. E fuori di essa non c’è più nulla.

Bianco e nero

La carne è chiaro-scurale. Ammette alla visione dell’anima, ma contemporaneamente la nasconde. La rende visibile celandola. Il corpo è come il Bianco e Nero che presuppone il colore, ma senza che in realtà ne vediamo i bagliori (eppure sappiamo, percepiamo la sua intensa presenza)…

…perchè l’eleganza è una questione di scelta

La bellezza di una persona (come di un oggetto), risiede nella sua eleganza, in quello stile particolare che contraddistingue e unifica. Il termine e-legante, infatti, proviene dal latino e-ligere e significa “scegliere tra molte cose”.

L’eleganza è perciò una questione di scelta, un modo di camminare la realtà assumendone delle parti e tralasciandone altre. E’ una questione interiore di armonia tra la parte ed il tutto, senza necessaria corrispondenza alla bellezza estetica, a volte perfino esclusa.

L’eleganza è perciò un evento realmente carnale. Essa manifesta all’esterno un modo di esserci interiore dell’individuo. Esprime una modalità di incontrare il mondo e le relazioni.

Elegante non è il maestro di stile, ma l’uomo incarnato, colui che sa discernere, vedendo dentro la realtà. E lo fa con dignità, attraverso la carne e la storia che gli sono dati. Senza fughe o ripieghi. Ma incedendo, elegantemente. Come solo chi ha coscienza della propria dignità può fare (per quanto tozzo o apparentemente “sbagliato”).

 

Lacustre (2)

Ancora qualche parola sulla bellezza della carne, sul sovrappopolamento di emozioni che genera, nel suo godere come nel suo dolere. Perchè anche questa è una possibilità reale.

La carne soffre. Le malattie, i disagi interiori, i silenzi.

La carne non è solo il luogo della manifestazione dell’amore, ma anche della sofferenza, di quel dolerci che ci rende così umani e diversi dalla divinità, fino alla contraddizione cristiana, quando il dolore ha deflorato lo spazio del divino.

E’ in essa che si consuma l’esanimento. E’ in essa che si manifesta la compagnia della vecchiaia ed infine l’aggressione della morte. Eppure c’è un senso in ogni ruga, c’è un significato in ogni piccolo pezzo di vita che si incide sul volto. Perchè la carne, anche nel suo crollare, nel suo lento sfaldarsi, ha una sua dignità, perfino nell’aggressione di una malattia, di un dolore devastante.

Ed è qui che forse sta il segreto del fidarsi della nostra carnalità e del lasciarla andare, di non tenerla a tutti i costi stretta tra le mani come un possesso. Forse è qui la fiducia non in una medicina che tende a conservare in esistenza ma non nell’esistente: nel lasciarsi andare. Perchè sia la pace. E poi il silenzio.

Nel quale non possiamo che sostare, attendendo di essere toccati dall’ultimo raggio di sole o dall’ultimo riflesso di luna che rimbalza sul lago freddo d’inverno…e che già (lo senti?) si apre alla primavera.

 

Lacustre

La carne poi è trasverberazione.

E’ possibilità.

Essa in fondo, non è sostanza in se stessa, ma apparenza di un qualcosa che sfugge. E non mi riferisco qui all’anima (la carne non è sottomessa all’anima, nè l’anima, qualora esistesse, alla carne), ma a ciò che è il destino della carne.

La grande contraddizione della morte non è infatti l’ultima parola dell’esistente. Il corpo ha un’attesa che lo supera. La sua grandezza non sta nel suo frantumarsi e devastarsi tra le zolle di un silenzioso pezzo di terra.

La speranza della carne è più violenta. E’ immensa. Essa, ogni cellelula, ogni pezzo di DNA sa che la vita non si conclude, che è chiamata, calamitata verso un qualcosa di diverso, non di “eterno” ma di “esistente”. Un prototipo.

La carne è divina. La sua coscienza è la percezione della propria divinità. Iscritta profondamente nel suo esserci nel mondo.

Queste foto, rappresentano allora ancora il superamento della realtà a favore dello spazio della bellezza e della possibilità del nostro camminare carnale nell’Esistente, rendendolo in qualche modo, visibile.

Cosa racconta il volto di un uomo

La carne dell’uomo è apparentemente diversa da quella della donna. E’ esposta alla violenza tanto quanto la prima, ma in modo differente. La carnalità femminile è precipitato di ruberia deflorante, di appropriazione, di rapimento. La carne dell’uomo invece è espressione di potere che sottomette, di mascolinità belluina, poichè essere maschio non è un “modo” di essere, ma affermazione stessa della potenza dell’esistere. Non è un caso che la maledizione più grande per un maschio, nelle nostra società, è ancora quella per la quale possa essere definito per scherzo o seriamente “cula”, “frocio”, poichè non è il singolo che va in crisi, ma la forza generante della società nel suo insieme sulla quale, attraverso il singolo, viene posta l’ombra dell’inconsistenza.

La carne dell’uomo però, come quella della donna, è espressione complicata della sua anima, che vive emozioni ed affetti tanto quanto quella femminile. Il coraggio dell’uomo è perciò forse in quel riscoprirsi “anima”, in quel manifestare attraverso il proprio corpo, nella sua realtà, ciò che è vissuto interiormente.  Non per femminilizzarsi, ma per scoprire tutta intera la propria ricchezza e la propria capacità di incarnare un amore. Virile, certo. Ma di anima.

  

Spazi

L’amore viaggia su binari insoliti, differenti, su elezioni affettive profonde che sfuggono al concetto di “famiglia”, ed a qualsiasi concetto di “sangue”.

L’unico concetto al quale risponde sempre è quello di “carne”. Non esiste alcun amore che sia disincarnato, anzi quando l’amore vuole raggiungere il suo apice deve toccare la vetta della carnalità che si trova nel suo stesso esanimento: la morte.

L’amore che tenda, infatti, a mostrarsi come vero, non sfuggirà al silenzio della morte, alla rottura delle relazioni alla quale essa conduce, ma vi entrerà dentro, nella fede e nella speranza, che nulla si perda di ciò che vale, che nulla si perda di ciò che è amore.

E’ qui che il mistero dell’incarnazione dell’amore raggiunge la sua vetta. Solo nella fine e nell’esanimento esso prova e provoca la sua eternità.

Spazi di azzurrità

Quando si pensa a qualcosa di carnale si giunge immediatamente alla relazione stabile tra due persone. La carnalità viene in qualche maniera associata ad una fisicità sessuale, dimenticando che essa è invece cifra di qualsiasi rapporto umano. Forse, ad esempio, che il rapporto tra una madre ed un figlio non sia un rapporto carnale? O forse che non lo sia quello tra due amici?

Ecco, l’amicizia è forse uno dei rapporti più carnali dati all’uomo. Il gesto nell’amicizia è veloce, naturale, immediato. Un amico vive l’altro come se ci fosse sempre stato, come se conoscesse gli interstizi della sua anima in modo aperto, luminoso. E quando due amici comunicano lo fanno il corpo anche senza toccarsi mai, perchè le aperture e le chiusure, i silenzi e gli interventi si manifestano nel sorriso, nello sguardo, in quella calma che è espressione concreta di una complicità.

E’ per questo che l’amico è la persona amata. Ed è per questo che quando si celebra l’incontro tra gli amici, l’abbraccio è vera compenetrazione di mondi. Molto più di qualsiasi attività sessuale tra due sconosciuti.

Un suggerimento: questa galleria va guardata ben oltre l’apparenza, fino a vedere lo spazio grandissimo della relazione che nasconde.

 

 

Ciò che narra una donna

La fisicità femminile è spesso esposta, logorata, infranta.

Eppure non c’è nulla di più misterioso di quella relazione che intercorre tra il corpo della donna e la vita, tra la sua sensibilità verticale e l’orizzontalità della sua visione.

Fotografare una donna, una “signora”, significa cercare la sua bellezza, che non è molto semplicemente quella estetica, ma piuttosto quella che vive nelle profondità, nei luoghi inaccessibili che costituiscono la sua anima ed in fondo il suo segreto.

Si può intervenire su di un volto, ma non si può intervenire su una storia. Ed è lì, proprio in questo interstizio che è necessario trovarsi per trasformare una foto che potrebbe essere banale, in una manifestazione carnale di un’anima.

La bellezza di Sara, che mi ha donato il privilegio di fotografarla, non si ritrova semplicemente nella sua freschezza, ma nella sua profonda femminilità che traluce dalla schiettezza dal sorriso, ma anche da quello sguardo, immediato, profondo, capace di leggere ed ordinare.

La carne di una donna, in fondo, è molto più che la sua storia. E’ l’interpretazione di essa. In questo il suo fascino. Ed a volte, la sua condanna.